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L'imperatore Wang Mang






L’ascesa al trono di Wang Mang è frutto dello svilimento dell’autorità degli ultimi imperatori della dinastia degli Han occidentali, quando gran parte del potere effettivo era ormai concentrato nelle mani degli eunuchi e delle imperatrici. Nipote appunto di un imperatrice, Wang Mang seppe abilmente sfruttare questa situazione confusa e preparare la sua scalata al potere. Aspramente condannato dalla storiografia cinese ufficiale come l’usurpatore per antonomasia salito al potere con un colpo di stato, Wang Mang fu il protagonista di un fallito tentativo di rinnovamento, che egli, (a torto o ragione) tentò di giustificare come la chiamata celeste a rimpiazzare una dinastia, quella degli Han, ormai degenerata e non più investita del mandato divino. In questo fu molto aiutato dal massimo esponete del confucianesimo contemporaneo, che ne confermò la teoria secondo cui la dinastia Han aveva ormai perduto la legittimazione divina a governare per mancanza di virtù.

 

Oltre a restaurare alcune cariche e parte dell’ideologia della tradizione della Cina arcaica (di cui si proclamava restauratore), l’intervento di Wang Mang si spinse in due direzioni: tentare di limitare il potere della grandi famiglie aristocratiche e ridistribuire parte della loro terra ai contadini. Furono emesse nuove monete metalliche con valore nominale superiore a quello reale (lo scopo voleva essere quello di svilire le scorte di monete delle grandi famiglie), le quali però si dedicarono alla contraffazione e comunque non subirono danni di rilievo. Più importante fu la nazionalizzazione della terra: ad ogni famiglia veniva assegnato un appezzamento inalienabile e di conseguenza non era possibile ne vendere ne comprare appezzamenti altrui. Il sistema fiscale fu riformulato per garantire questo processo. Anche il controllo sul commercio fu rafforzato, ribadendo i monopoli statali e istituendo magazzini statali con il compito di ammortizzare le speculazioni sulle merci comprando al ribasso e rivendendo a prezzi fissati.

 

Questa ambiziosa politica di pianificazione andò però incontro al più completo fallimento. Oltre alle difficoltà naturali l’impossibilità era data anche dal fatto che gli stessi funzionari preposti alla sua attuazione provenivano in gran parte da quelle grandi famiglie che avrebbero ricavato da essa i maggiori dolori. Il potere delle famiglie era ormai troppo forte perché un imperatore, perlopiù considerato da molti come illegittimo, potesse opporvisi. Inoltre il breve regno di Wang Mang fu anche funestato da alcuni gravi cataclismi naturali che trovarono il loro apice nella leggendaria inondazione del 11 d.C., quando il Fiume Giallo ruppe gli argini allagando due fra le più popolate province dell’Impero, Shandong ed Hebei.

 

Le conseguenze economiche furono notevoli e nel 17 d.C. scoppiò una grande rivolta contadina nella provincia dello Hubei, e nello Shandong l’anno successivo. Tra il 20 e il 23 le truppe imperiali inviate a sedare le rivolte furono sconfitte e, Liu Xuan (un membro della spodestata dinastia Han che era fra i capi della rivolta), fu proclamato nuovo imperatore. Wang Mang intanto veniva trucidato dalla folla della capitale imperiale, insorta alla notizia della vittoria delle forze ribelli.

La dinastia degli Han orientali (25 d.C. - 220 d.C.)

Insediatosi in una nuova capitale imperiale Liu Xuan si trovò ben presto a fere i conti con gli altri capi delle rivolte. I conflitti che si aprirono durano per circa quattro anni, fino a quando Liu Xiu, anch’egli ex membro della dinastia Han e capo della rivolta assieme a Liu Xuan, riuscì ad imporsi su tutti gli altri “pretendenti” e a riportare l’ordine in tutte le province dell’Impero. Il 25 d.C. è considerato l’anno della restaurazione della Dinastia Han, col nome pero di Dinastia degli Han orientali (o posteriori). Tale definizione deriva dal fatto che la capitale fu spostata più a oriente.

 

Oltre ad essere un aristocratico di sangue reale Liu Xiu era anche un esponete tipico delle cosiddette grandi famiglie. La famiglia del nonno materno era dello Henan e aveva possedimento fondiari per oltre 30'000 mu (l’unità di misura dell’epoca). Oltre alle terre le attività familiari comprendevano allevamento e commercio, con alcune migliaia di dipendenti fra lavoratori agricoli, affittuari, guardie armate, operai e domestici.

 

Forse anche per questo il nuovo imperatore abbandono fin dal principio ogni progetto teso a limitare il potere delle grandi famiglie e dei commercianti. I monopoli statali furono del tutto aboliti, e non si pose nessun freno al processo di continua acquisizione da parte delle famiglie delle terre dei contadini autonomi costretti a vendere per debiti. Ciononostante Liu Xiu tentò di ridare forza e prestigio alle istituzioni imperiali e promosse alcuni aggiustamenti nel sistema fiscale, atti a ridurre il prelievo ancora principalmente gravante sui contadini autonomi.

 

Un altro problema che era sorto a seguito della confusione creatasi durante il regno di Wang Mang erano i disordini alle frontiere. Liu Xiu non intraprese una decisa politica militare atta a ristabilire la sicurezza ai confini, ma scelse una linea tendente a integrare le popolazioni barbare stanziate presso i confini al mondo cinese. Ciò fu attuato con successo nella Mongoli interna con gli Xiongnu meridionali (che già da molto tempo si erano sottomessi agli Han). Assai diverso fu invece l’intervento militare nel Vietnam del Nord, dove era scoppiata una violenta rivolta indipendentista capeggiata dalle sorelle Trung. La regione fu nuovamente sottomessa dalle truppe imperiali.

 

Non si trattò tuttavia di interventi risolutivi, tanto che nel 74, il successore di Liu Xiu, l’imperatore Mingdi, fu costretto a inviare un grande corpo di spedizione nella provincia del Gansu, per scacciare definitivamente gli Xiongnu settentrionali che avevano ripreso l’iniziativa in tutta l’Asia centrale. Accerchiati dai cinesi e dai loro alleati, Xiongnu e Xianbei (una popolazione nomade della Manciuria settentrionale un tempo vassalla degli Xiongnu), gli Xiongnu settentrionali furono cacciati via dall’Asia centrale (il loro posto sarebbe rimasto libero per gli Xianbei). Chiusa la partita con gli Xiongnu il corpo si spedizione cinese si sposto nella regione del Bacino del Tarim, dove ribadì la sovranità imperiale riaffermando il controllo sulla via della seta.

 

Il comandante del corpo, dotato di grandissime abilità strategiche e amministrative, incaricato dall’imperatore di spingersi verso occidente, giunse con la sua armata fini al Mar Caspio. Cercava il leggendario regno di Da Qui, situato all’estremo confine occidentale del mondo, del quale i cinesi avevano solo sentito parlare. Si trattava dell’Impero Romano, ma i cinesi non vi giunsero mai perché i Parti, all’epoca stanziati al confine con l’Impero romano lungo la via della seta, li dissuasero a proseguire ingannandoli: essi -che vivevano dell’intermediazione commerciale- sarebbero stati rovinati se romani e cinesi fossero riusciti ad entrare in contatto.

 






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